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Itaca,
Scuola permanente di Scrittura Creativa fondata nel 2014 a Ferrara da Roberto Pazzi, scrittore e poeta di fama internazionale.
Il nome della Scuola è un omaggio alla poesia di Costantino Kavafis.
Dopo due decenni di corsi annuali, una istituzione permanente e un vero laboratorio culturale fatto di dialogo, scambi di esperienza e linguaggi diversi.
Opuscolo 2016: Centro Acquedotto Ferrara
Articolo sull’inaugurazione: Telestense.it
Scrive Roberto Pazzi all’apertura del quattordicesimo corso di scrittura, nel 2015, che straordinariamente comprendeva una sezione dedicata alla Poesia, oltre a quelle tradizionali dedicate al romanzo e al romanzo storico:
“Ho passato gli anni migliori della mia vita a insegnare, uno dei più bei mestieri del mondo. Sognavo spesso la notte quel che poi avrei detto ai ragazzi. E talvolta mi accade ancora, sulla sessantina avanzata. E in sogno spiego che i due danteschi amanti dannati, Paolo e Francesca, staranno ancora insieme per sempre anche all’inferno. O che nessuna forma di vita è invidiabile, se leggo il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, di Leopardi. O che “Nulla riposa della vita come la vita”, rileggendo Saba.
La cultura che hai, il sapere che sei – sapore e sapere han la stessa radice- , li verifichi in trincea, a scuola. Davanti a quelle facce prese dalle urgenze dell’età, prima fra tutte quella della scoperta della sessualità e dell’amore, dal vasto sgomento di non sapere il futuro, minacciati dalla paura di fallire. Devi colorarglielo tu quel futuro. Far loro venire voglia di sfogliarlo con i valori della Poesia, la fame di gloria, di azione in difesa della libertà minacciata, la passione per il lavoro come gioco, la sete della Bellezza.
“Bisogna indurre la sete, non dare l’acqua”, diceva il cardinale Martini. Sapeva di ripetere il verso “L’acqua la insegna la sete”, della Dickinson.
Non vale per i ragazzi che tu sia uno che ha scritto, o studiato. Te li devi giocare sul campo, l’autorevolezza e l’ascolto, nell’attimo fuggente, come il professore del film interpretato da Robin Williams. Devi teatralizzare, mettere in scena i morti, far rivivere le parole di Leopardi nelle tue stesse – aspetto con ansia di vedere se il film di Martone sia riuscito a compiere questo miracolo – Devi parlare come se scoprissi insieme a loro per la prima volta quello che sai. Non fare lezione precotta, leggendo appunti, come certi professori di “Amarcord”, ma improvvisare. Magari azzardare modi nuovi, per filtrare il vecchio.
Quando morì Pasolini, il giorno dopo, entrai in classe e lessi in una terza ragioneria, per un’ora, “Lettere Luterane”, avendo avuto l’accortezza di avvolgere in carta di giornale il libro. Al suono della campanella, vedendoli ancora estasiati, strappai la carta. Seppero solo allora chi li aveva incantati.
Confliggendo nella testa la verità della lezione, col pregiudizio comune contro Pasolini. “Professore, mi ha salvato con quella lezione, dal diventare come i miei”, mi disse, anni dopo, un ragazzo di quella classe, direttore di una banca”.