Mitologia e Simbolismi di Venere e Marte
(Associazione hairesis, 12/2/2011 Ferrara)

Per meglio comprendere i simbolismi che noi attribuiamo ai pianeti in Astrologia, è molto utile ed interessante riferirsi alla storia e al mito. Alla base del mito abbiamo gli archetipi, forme primitive o modelli originari che strutturano la psiche umana, basi del linguaggio dapprima mitologico e poi religioso. Per C.G. Jung (che tanto si occupò di miti, simboli, alchimia, astrologia, ecc.) gli archetipi sono forme innate di pensiero, predeterminate nell’inconscio umano, ciò che egli definisce “inconscio collettivo” (ovvero tutto ciò che l’uomo ha imparato fin dai primordi e che rimane registrato; che è altro rispetto all’inconscio personale, individuale).Il mito,patrimonio inestimabile che ci perviene dal passato, si può considerare una conoscenza innata, intuitiva, dell’uomo; una sorta di pre-scienza inconscia proiettata all’esterno. Infatti l’uomo ha animato il cielo, a cui ha dato un ordine e un significato raggruppando le stelle in gruppi che plasmano figure e storie tratte dalla mitologia. Il mito si esprime attraverso simboli e un linguaggio metaforico, codificato.
Tutti questi elementi li ritroviamo nel linguaggio con cui ci parla l’Astrologia.
(Che, brevemente ricordo, nasce in Mesopotamia e rimane legata all’astronomia fino a pochi secoli fa).
Il femminile in Astrologia viene associato alla Luna e a Venere e come vedremo queste attribuzioni si ritrovano anche nella cultura.
L’archetipo del femminile divino, in tempi primordiali, si identifica con la Grande Madre, divinità femminile ancestrale collegata alla fertilità, all’amore e all’unione, probabilmente traccia di antichissime culture matriarcali (parliamo del Neolitico, 25-30.000 anni fa, ma probabilmente ha radici più antiche, ricordiamo le statuette dette Veneri steatopigìe rinvenute in Europa).
L’archetipo della Grande Madre è relazionato alla Luna.
Successivamente troviamo in tutti i Paesi dell’area mediterranea centro-orientale, divinità femminili dai tratti comuni, identificate con Venere. Presso i Babilonesi è Ishtar, per i Fenici ed i Semiti è Astarte, nella cultura ebraica (così viene citata nell’Antico Testamento) è Ashtaroth o Ashtoreth; in Siria è Atargatis; Cibele (Mater Kubile) per i Frigi e i popoli dell’Anatolia, Magna Mater o Bona Dea presso i romani (da infiltrazioni orientali); la stessa Iside per gli egizi; e si potrebbe continuare con Athar in Arabia meridionale, Astar in Abissinia; ma troviamo divinità analoghe fino alla Persia e all’ India. In queste innumerevoli forme, la dea ha caratteristiche comuni, come il dominio sugli animali e la natura, il carattere e i culti notturni. Si tratta di divinità fortemente legate al ciclo vita/morte/rinascita, al mistero della vita, non subordinate a figure maschili (il maschio spesso viene sacrificato dopo l’accoppiamento), spesso relazionate al mondo degli Inferi, al sangue, al sacrificio per la rinascita.
Come riporta Karol Kerényi, la Dea orientale è estremamente assetata d’amore e sa donare un’illimitata voluttà amorosa; nel cielo le appartiene la stella vespertina e mattutina (chiaramente fasi di Venere, quando sorge prima del Sole e quando tramonta dopo il Sole, in entrambi i casi ben visibile e luminosa).
Venere, chiamata dai babilonesi “chiara fiaccola” e “diamante scintillante al Sole” è l’astro che dalla Terra si percepisce più luminoso dopo il Sole e la Luna, la sua brillantezza al crepuscolo, nella sua fase vespertina (quando tramonta dopo il Sole e la vediamo luminosa all’orizzonte occidentale) può arrivare a una magnitudine di -4,4, sette volte più brillante di Giove. Nel pantheon babilonese, infatti, Sole, Luna e Venere governavano “l’argine del cielo”, ovvero lo Zodiaco.
Ishtar è la Signora della Luce Risplendente e nell’iconologia è rappresentata da una stella ad otto punte, simbolo che si ritrova anche nell’iconografia cristiana legato alla Vergine Maria. La stella a otto punte rievoca il fatto che il pianeta Venere, nel ciclo delle sue congiunzioni con il Sole, torna allo stesso punto in un periodo di otto anni.
Non a caso il mese di maggio, mese del Toro e di Venere (ma anche dell’esaltazione della Luna, altro simbolo del femminile) è dedicato alla Vergine Maria (ricordiamo inoltre che Atargatis, è rappresentata velata, con spighe e piante nelle mani, e già prefigura Demetra e la Vergine zodiacale; mentre Iside era rappresentata con il figlio in braccio, come la Vergine Maria).
Questa figura primordiale rappresenta un’energia istintuale, biologica, terrena e carnale, che porta alla generazione, alla continuazione della specie, e che ben si può collegare alla Venere del Toro, e già qui possiamo avere un’idea anche dei simbolismi che il toro e la vacca rivestirono nell’iconografia di molti popoli (fertilità, cicli della natura, coltivazione). Venere rappresenta il principio ricettivo e femminile che accoglie la vita, polo negativo della polarità generativa.
È scritto nell’I Ching:
“Perfetta in verità è la sublimità del principio ricettivo. Tutti gli esseri gli devono la nascita perché grazie alla sua abnegazione accoglie il celeste”.
La Venere Afrodite ellenica è la medesima Dea “dall’immenso potere” che emerge nuda dal Caos e danza sul mare, originando poi tutte le cose, come ricorda l’antico mito pelasgico di Eurinome, colei che depone l’Uovo Cosmico trasformata in colomba. Ovidio, nelle Metamorfosi, ne conserva memoria raccontando della nascita di Afrodite da un uovo che alcuni pesci dell’Eufrate avevano sospinto a riva e che venne covato da una colomba. Ricorrente il riferimento alla colomba, simbolo di Venere nell’iconografia.
Sempre legata ad elementi marini come conchiglie, pesci, acque, poiché la vita ha origine nel mare, per i Greci è Anadiomene, la Dea che emerge dalle acque salate, anche detta Pelagia, la marina.
Esiodo, nella sua Teogonia, narra che Afrodite nasce da Urano e Gea, il Cielo e la Terra, quindi fa parte della prima generazione di dei, dei Titani. Urano ogni notte si accoppia con Gea, la Terra, abbracciandola, ma odia i figli generati e prova gioia nel nasconderli nelle cavità della terra e non lasciarli uscire alla luce. Gea, costernata, trae dalle sue viscere un falcetto di diamante e chiede ai suoi figli di essere vendicata. A quel punto Crono “dai contorti pensieri, il più tremendo dei figli, che prese in odio il possente genitore” si offre per fiancheggiare la madre, si nasconde e quando Urano sta per abbracciare la sposa, lo evira, gettando il membro in mare. Aphros significa schiuma, in lingua greca, infatti dalla schiuma formatasi attorno al membro immortale, sorge e cresce Afrodite. La bellissima e desiderata dea dell’Amore, nasce qui da un evento tragico, sanguinoso, doloroso, e al contempo riparativo. Nasce, inoltre, dalla perdita dei genitali, forse a suggerire che l’amore va al di là della dimensione sessuale e terrena e che contiene la componente del dolore.
Afrodite nuota dapprima fino all’isola di Citera (detta per questo Citerea), la trova angusta, quindi raggiunge Cipro sua dimora e centro dei suoi più potenti e antichi santuari di Pafo e Amatunte. Emerge dalle acque marine nuda, un tappeto di tenera erba nasce sotto i suoi piedi (a rappresentare il suo dominio sul regno vegetale), le Ore (figlie di Temi, dea dell’ordine dei sessi e dei cicli naturali) corrono a vestirla e adornarla per introdurla sull’Olimpo, dove, quando si presenterà accompagnata da Eros e Himeros (Passione e Desiderio) tutti rimarranno estasiati da tanta bellezza e desidereranno prenderla in moglie.
In Grecia Afrodite si chiamava anche Dione, femminile di Zeus (Zeus è genitivo di Diòs), dea del cielo luminoso, anche nota come dea dell’acqua, abbiamo sempre questo legame con l’acqua. Una altra versione la vuole assoggettata a Zeus, figlia sua e di Dione, una titanessa, figlia di Oceano e Teti. Queste sono comunque versioni più recenti, che vogliono legittimare la società di tipo patriarcale.
Afrodite fa parte dei dodici Olimpi, o Dodekatheon, ma rimane comunque piuttosto defilata, distaccata dalla vita di corte. Vive nel suo palazzo nell’isola di Cipro, esercitando il suo potere, accetta i sacrifici che gli uomini le offrono e si dedica ai suoi complessi amori, generalmente mai facili, mai felici, tragici (Adone, il bellissimo cacciatore, unico vero amore della Dea, conteso con Persefone, poi morto tragicamente ucciso da un cinghiale, probabilmente Ares geloso) e scandalosi (l’adulterio con Ares e lo stratagemma di Efesto; ma sottolineo che Efesto l’aveva avuta in moglie in cambio della liberazione di Era, che lui stesso aveva incatenata sul suo trono per vendetta, dato che lei l’aveva gettato da una rupe alla nascita poiché frutto dell’amore prematrimoniale con Zeus).
Interessante questo passaggio di Graves, a proposito della transizione da una società matriarcale ad una dominata dal maschile: “Gli elleni di epoca più tarda tentarono di svilire la Grande Dea del Mediterraneo che per molto tempo aveva avuto un potere supremo a Corinto, Sparta, Tespie e Atene, ponendola sotto la tutela maschile e condannando le sue solenni orge sessuali come se fossero sregolatezze adulterine. La rete che, secondo la descrizione di Omero, imprigiona Afrodite e Ares, era in origine un attributo della Dea come patrona del mare e pare che le sue sacerdotesse la indossassero durante le feste di primavera. Così pure facevano le sacerdotesse della dea scandinava Holle o Gode, a Calendimaggio.
Essa suscita l’attrazione affettiva e sessuale in tutti gli esseri, dominando dei e uomini, lo stesso Zeus non può sfuggire al fascino emanato dal “magico cinto” della Dea (la fascia che le regge il seno), e irritato la condanna ad amare solo mortali, da qui la storia con Anchise, re dei Dardani, e la nascita di Enea.
Afrodite, tuttavia, non può assoggettare Estia, Atena e Artemide, dee vergini (dal greco antico parthénos, fanciulla, vergine) che rifiutano ogni contatto con gli uomini (ricordiamo la loro affinità con le discipline religiosa, intellettuale e fisica).
Come Dea della Vita e della Morte, binomio imprescindibile della natura terrena, è stata considerata la prima delle Moire e le sono stati attribuiti nomi inquietanti come “signora delle tombe”, “l’assassina”, “la seppellitrice”; con gli epiteti Melena (la nera) e Scotia (l’oscura), si può ricollegare alle Madonne Nere.
Presso i Romani troviamo il culto della Venere Libitina, dea dei riti funebri.
Ricordiamo che Afrodite è sposata ma ha molti figli, da altrettanti amanti (nessuno dall’unico marito, Efesto), non rifiuta gli uomini ma non ha bisogno del matrimonio come Era, ad esempio. Partorirà Deimos, Phobos e Armonia da Ares, Ermafrodito da Ermes, Priapo da Dioniso, Roda da Posidone, ecc. Questa sua grande promiscuità irrita anche Era, che dà un aspetto osceno a Priapo.
Esistono molti tipi diversi di amore, come testimoniano i numerosi termini greci, dando l’impressione che l’argomento fosse già piuttosto complesso.
Abbiamo, come dicevo prima, Eros (dio primordiale dell’amore; nel mito orfico e nella Teogonia di Esiodo nato dallo spalancarsi dell’uovo cosmico, da cui sorge prima il Caos, poi Gea ed Eros, definito “il più bello tra gli dei immortali, che scioglie le membra e soggioga lo spirito di tutti gli dei e gli uomini”; viene scelto come servitore e amante da Afrodite e ne ha gli stessi attributi) e Himeros (alter-ego di Amore, significa desiderio), ma anche Anteros (l’amore corrisposto) : una triade interessante. Poi Agape (amore fraterno, disinteressato), Philia (affetto amichevole), Photos (ciò che desideriamo), Thelema (desiderio di fare qualcosa), Storge (amore di appartenenza). E questi sono solo alcuni esempi.
La dea dell’Amore esprime l’affinità, l’unione, l’attrazione verso l’altro che si manifestano nell’affettività, nei sentimenti, nella relazione come capacità di fondersi con l’altro in un’esperienza creativa, in un atto creativo (infatti Venere in Astrologia è relazionata all’arte) che porta a un’evoluzione, a un cambiamento rispetto a quello che le componenti della relazione erano prima.
Venere esprime attrazione e affinità, ciò che per gli alchimisti era la tendenza che ha un corpo a mescolarsi con un altro, per questo viene definita dea alchemica. Gli alchimisti associavano tale tendenza ad un’energia psichica, inoltre la scienza ha verificato il ruolo fondamentale dell’affinità tra elementi in tutti i processi trasformativi e vitali della natura: è l’energia dell’amore, dell’attrazione (l’amor che move il sole e l’altre stelle), si sa, che richiama l’uno verso l’altro gli esseri viventi, che ci trasforma, che ci cambia, che dà vita a qualcosa di nuovo, sia di biologico che di psichico.
“Negli emblemi del ‘600 è comune il tema dell’Amorino alchimista che distilla alimentando il forno mentre una coppia si stringe in un’alcova distillandosi nel fuoco passionale”
commenta Elemire Zolla.
“L’incontro tra due persone è simile all’incontro tra due sostanze chimiche. Se succede qualcosa tutte e due cambiano”.
C. G. Jung
Si può dire che Marte e Venere rappresentano i due poli della stessa energia, un’energia legata alla generazione e alla dimensione fisica, a differenza del Sole e della Luna che rappresentano l’archetipo del maschile e del femminile su un altro piano, che riguarda più il nucleo della personalità e non le sue funzioni. Venere rappresenta un’energia femminile e ricettiva, tanto Marte rappresenta una forza maschile e attiva così come ne ritroviamo i simboli in biologia a rappresentare il genere maschile e femminile. Marte è espressione della pulsione vitale, istintuale e primaria, che irrompe, penetra, feconda e vuole possedere, dominare, conquistare.
In tutte le lingue antiche il significato del “pianeta rosso” è infuocato, di fuoco (es. nei Veda Marut è l’antico dio del fuoco, la radice MAR significa fuoco). Il fuoco, nel calore, dà e permette di conservare la vita; è il motore che mette in moto, che alimenta il movimento, il calore che mantiene un essere in vita.
In Mesopotamia è identificato con Nergal, colui che provoca la morte, le pestilenze, fomenta la guerra e causa la canicola. È rappresentato da un uomo incoronato che tiene in una mano una testa mozzata e nell’altra una spada, come ancora appare in alcuni codici arabi medievali.
Nell’Introductio ad astrologiam di Albumasar è un guerriero seduto su un trono con la spada levata verso l’alto e una lancia, ed è questa l’immagine che si impone nell’Occidente medievale, poi riprodotta in epoca rinascimentale e barocca, dove lo si rappresenterà anche in piedi su un carro trainato da due lupi.
Per i Greci è Ares, dio della guerra, figlio di Era e Zeus. (Are significa violenza, collera). Una versione del mito riportata da Ovidio lo vuole concepito dalla sola Era, nato dall’ira della Dea per i continui tradimenti di Zeus (come Tifone, nato dalla collera di Era per la nascita di Atena).
Era chiede a Urano e Gea, suoi genitori, di darle un figlio più potente di Zeus, che poi tenterà di ucciderlo; per un anno non dorme con il marito, né occupa il trono con lui, rimane nel suo tempio. Era incarna l’archetipo della moglie, della donna che si realizza attraverso il matrimonio, la monogamia, e si guarda bene dal violarli. Anche in questo caso Gea (ricordiamo che la Dea, il femminile, può concepire per partenogenesi, cioè senza l’intervento maschile) nella veste di Flora (la Natura) dà un fiore a Era, lei lo tocca e concepisce Ares. Si ritira poi in Tracia dove lo partorisce e dove il dio dimorerà, notoriamente la Tracia è una regione selvaggia abitata da un popolo guerriero. Dunque Ares nasce dalla collera, da un desiderio di vendetta, nasce per contrastare e irritare Zeus.
In origine Ares è un dio fanciullo, puer divinus, perfetto danzatore e virile amante di bellissime dee. In seguito verrà iniziato all’arte della guerra, incarnando lo spirito guerriero. Zeus e tutti gli immortali lo considerano odioso perché si diletta di guerre e contese, delle carneficine e delle stragi, non ha rispetto nemmeno della madre, non conosce ordine e giustizia, nella battaglia favorisce ora gli uni ora gli altri, così come l’umore gli suggerisce. Omero lo descrive come “ dio dal membro eretto, l’impetuoso, litigioso e ubriacone dio della guerra”. Ha una figura gigantesca, emette potentissime urla e combatte a piedi o su un carro, accompagnato da Deimos e Phobos (Paura e Terrore, suoi figli, nati da Afrodite), da Eris (la Discordia) e Enio (la dea della guerra).
Ares ostenta un gran disprezzo per la legge e la giustizia, ed è il primo ad essere accusato di omicidio presso il tribunale degli Dei.
Gli Ateniesi, che non amavano la guerra, mettevano in contrasto la forza e l’impulsività di Ares con l’intelligenza, la sagacia, la tecnica, di certi suoi avversari da cui veniva spesso battuto (Atena lo ferisce, Efesto lo vince con il fuoco e le catene, Eracle lo disarma, i gemelli giganti Aloadi lo rinchiudono in un otre per tredici mesi finchè viene liberato da Ermes).
Vediamo così che l’energia marziana può venire imbrigliata dall’ingegno, dalla saggezza, dall’astuzia.
La sua virilità attrae comunque la bella Afrodite e questa unione adulterina è espressione dell’impulsività sessuale, dell’erotismo dionisiaco, della tracotanza naturale di Ares, abituato a prendere ciò che vuole.
Anche presso i Romani Marte è il dio della guerra, ma al tempo stesso protettore delle greggi e dell’agricoltura, della primavera (le guerre iniziavano a primavera) e della fondazione di città. Nella mitologia romana arcaica presiede alla fertilità, al tuono a alla pioggia, associato alla primavera e al risveglio della natura, mese dell’Ariete, dove Marte ha il suo domicilio diurno.
Il metallo che gli corrisponde è il ferro, infatti Marte è il dio del ferro e del fuoco, delle armi, ma al tempo stesso gli si rivolgevano preghiere perché mantenesse la pace e l’abbondanza anche presso i Greci.
Ricordo, inoltre, che il simbolismo della linea retta (lampo, freccia, raggio, pioggia, colonna), presente nel glifo di Marte, rappresenta da sempre il rapporto di Dio con il creato, l’intervento, la manifestazione del Cielo in Terra.
- Robert Graves “I miti greci” – Longanesi & C
- Karoly Kerényi “Gli Dei e gli Eroi della Grecia” – Ed. Il Saggiatore
- Roberto Sicuteri “Astrologia e Mito” – Astrolabio
- Alfredo Cattabiani “Planetario. Simboli, miti e misteri di astri, pianeti e costellazioni” – Oscar Saggi Mondadori
- Gerard de Champeaux “I simboli del Medioevo” – Jacka Books